Fontana della Terrina - ROMACITTAETERNA

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Fontana della Terrina


Dove e Collocata:

 
 

Piazza della Chiesa Nuova

Zona:

 
 

Ponte

Autore:

 
 

G. Della Porta (1529)

Committente:

 
 

Papa Gregorio XIII


Dovremmo dire la Terrina di Campo de' Fiori; ma, come vedremo fra poco, il trasferimento che questa fontana ha dovuto subire le imporrà il nuovo nome di Terrina della Chiesa Nuova, o dei Filippini, se nella sua attuale ubicazione questa vecchia fontana riacquisterà la popolarità che godeva un tempo, là dove venne per la prima volta ereta.
La scritta che si leggeva su di un palo piantato in mezzo a Campo de' Fiori diceva: « Supplicio de' malviventi e trasgressori della legge ». Infatti su questa piazza vennero pubblicati per un pezzo gli atti solenni dei Papi, ed eseguite le opere di giustizia, dalla corda alla forca c al rogo.
Prato adibito al pascolo del bestiame fino ai tempi di Eugenio IV. la piazza Campo de' Fiori fu fatta lastricare dal cardinale Scarampo. e divenne allora una delle importanti località di Roma, tanto che sul finire del secolo XVI era considerata come il centro più frequentato della vita cittadina. Questo avvenne un po' per i mutevoli capricci della moda, un po' perchè intorno all'antico prato erano cominciate a sor — con i relitti del demolito teatro di Pompeo — alcuni edifici di qualche pregio, e una rocca orsiniana che si chiamò « Arpacata ». Da un lato si vedeva il palazzo della Cancelleria, non ancora ultimato, poi il palazzo Condulmer, e intorno a questo primo nucleo erano venute a stringersi le più rinomate locande e taverne di Roma, come quelle della \acca, della Campana, della Corona, della Nave, del Sole, della Scala, della Luna, dell'Angelo, alcune delle quali esistono ancora, inal nel nome, se non nella precisa ubicazione e nella disposizione dei locali.
Nel centro della piazza, là dove arse il rogo di Giordano Bruno e dove sorge ora la statua in bronzo del frate nolano, il Papa Gre XIII fece erigere una graziosa fontana alimentata dall'acqua Ver E per la solita ragione del livello, la fontana venne costruita, come quella di piazza di Spagna, per metà sotterra: «circa mezz'uomo sot », dicono gli antichi descrittori.
Su di un ripiano lastricato di travertino a cui si scendeva per due scaglioni, era una tazza ovale di marmo bianco, con il piede egualmente di marmo, ai lati dalla quale sgorgava l'acqua per quattro bocche, e scendeva a fare laghetto nella sottostante vasca quadrangolare. La tazza era sormontata da un coperchio di pietra tiburtina, scorniciata e ter da una palla.
Gregorio XV fece interamente restaurare questa fontana, e lo scal che fu incaricato di eseguire il lavoro, non si sa bene se di sua iniziativa o per suggerimento o comando, pensò bene di incidere nella fascia sottile che gira alla base della palla del coperchio, questa sen in tutte lettere lapidarie: <( Ama Dio e non fallire, fa del bene e non lo dire - MDCXX1 ». L'iscrizione è in diversi punti lievemente sgre e non è di agevole lettura, anche perchè, per scorrerla tutta, bisogna girare un po' al largo, intorno al muricciolo rettangolare che circoscrive la vasca.
Questa fontana, per la sua forma di zuppiera coperta venne bat dai romani « La Terrina di Campo de' Fiori » e questo nome le rimase fino a quando la si lasciò al suo antico posto, dove godeva di una grandissima popolarità.
Da quando è stata trasferita sul Corso Vittorio Emanuele, in piazza della Chiesa Nuova, di fronte alla chiesa e all'ex convento dei Filippini, ora sede del riordinato Archivio Storico del Comune di Roma.   la povera « Terrina » è caduta quasi in oblio : ricollocata « circa un uomo sotterra », seminascosta dai tigli che la circondano, essa divide le tristezze dell'esilio con l'abate Pietro Metastasio, la cui statua, slog da San Silvestro per le esigenze imperiose del traffico tramviario, l'aveva preceduta avviandosi verso i confini del rione Ponte. Dall'alto del suo piedistallo, l'aulico poeta guarda ora malinconicamente la sua compagna di deportazione, e sembra invitarla a rassegnarsi cristiana ai colpi dell'avversa fortuna.
Provvida e bene ispirata fu, del resto, la scelta della località per la ricostruzione, dopo che la Terrina era rimasta per parecchi lustri abban nel magazzino dei selci, al Testaccio.
Prma della Terrina doveva già esistere, in piazza Campo dei Fiori, un'altra fontana. Lo Sprenger, infatti, scrive nella sua Roma Nova: Noe labrum fontis illud contempseris in Campum Florae, quod deco- ratum est porcis marinis ex aere. Ma questa è l'unica notizia che ci sia pervenuta intorno a questa fontana, la quale, risultata forse insuf dovette essere sostituita dalla nuova.
Così pure nessun documento ci ha tramandato il nome dell'arte che ideò ed eresse la Terrina, opera modesta in verità, nella conce e nella esecuzione. Al suo primo apparire, pare che la Terrina consistesse nel solo vaso ovale di poco emergente dal suo bacino rettan senza il coperchio, che è di travertino, mentre il vaso è di marmo. Il coperchio deve essere stato aggiunto sotto il pontificato di Gre XV, sia per difendere l'acqua dalle sudicerie che vi gettavano dentro, sia per arricchire un po' il misero aspetto della fontana, che — quasi sotterrata — spariva nella immensità della piazza.
Nel suo (( Corso delle acque », a pag. 292, Alberto Cassio trova addirittura stupefacente la trovata di questo coperchio: «Così coprendo la sorgente dell'acqua, tien tuttora nascosta la di lei origine, facendo apprendere che li quattro fonti discendino dalla parte superiore del Ingegnoso ritrovamento, col quale in certa maniera l'arte superò la natura ». Ma la critica popolare non fu così accomodante e bene : e se a tutta prima aveva chiamato la fontana « il Pasticcio ». dopo l'aggiunta del coperchio la battezzò « la Terrina ».    Utile nella sua modestia ai venditori di erbaggi e di foraggi, e ai (( cocomerari » che la circondavano delle loro mostre a scaletta, « la Terrina » ebbe i suoi momenti di grandissima popolarità quando, in occasione di alcune feste, il suo bacino era colmato di imbandigioni offerte gratuitamente al popolo, e dalle bocchette, invece della limpida acqua Vergine sprizzava il rubino o il topazio dei Castelli.
Come è facile immaginare, intorno alla fontana si accendevano gare accanite per riuscire a prendere e a conservare un posto presso le bocchette. Secondo l'espressione di Costantino Maes, era una nuova specie di cuccagna, alla quale non si doveva giungere arrampicandosi, ma insinuandosi a furia di bracciate, di spallate, di spintoni, fra le imprecazioni dei vicini, le risate, gli incitamenti e gli applausi degli spettatori che assistevano dalle finestre a queste incivili mischie.

 

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