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Cloaca Massima

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La Cloaca Massima ( guarda Video) è la fogna che tanto affascina ed alimenta l'immaginazione di tutti ma che pochi hanno il «privilegio» di vedere. La costruzione delle cloache fu il primo problema che gli antichi romani dovettero risolvere. Durante il VII secolo a. C. Roma era ancora circondata da profondi ed insalubri acquitrini; lo scopo di questi condotti era dunque di far defluire verso il Tevere i liquami del futuro Foro Romano, il Campo Marzio e il Foro Boario.
La prima cloaca fu costruita verso il 616-615 a. C. e a questa seguirono delle altre, finché Tarquinio il Superbo non realizzò la grandiosa Cloaca Massima che aveva il preciso scopo di risanare le aree del Foro, del Circo Massimo e della Suburra. A questa si collegarono i collettori provenienti dal Velabro.
Con la costruzione delle immense terme si dovettero ingrandire anche i volumi dei condotti fognari perché essi dovevano essere in grado di eliminare in breve tempo l'immane quantità d'acqua che a Roma arrivava grazie agli undici acquedotti. I sistemi di costruzione andavano dai conci di tufo al laterizio, dai blocchi di travertino alle murature in calcestruzzo; in ogni caso però veniva seguita sempre una certa cura per rendere la costruzione un po' più piacevole.
I tombini, posti a pochi metri l'uno dall'altro, erano sempre corredati di ottimi coperchi in marmo; il più interessante è certamente quello che si conserva nell'atrio di S. Maria in Cosmedin, meglio conosciuto come «La bocca della verità».
Abbastanza affascinante appare il tentativo di realizzare una pianta completa della rete fognante romana; l'impresa è alquanto ardua ma certo non impossibile. A più riprese ci si è imbattuti in collettori di varia grandezza, posti in ogni zona della città e a profondità diverse.
Le cloache più antiche risultano in conci di tufo; sotto il Foro Romano ne è stata individuata una in cappellaccio (V secolo a. C.) mentre quelle della vicina via della Consolazione sono un po' più recenti (IV secolo a. C). I tratti a conci di tufo del Quirinale sono del III-II secolo a. C. mentre notevoli rifacimenti imperiali sono stati riconosciuti nella Cloaca Circi, in quella presso il Clivus Pena-tium e nella cloaca della valle del Colosseo. Altri rifacimenti tardi, sebbene il monumento fosse più antico, si potranno notare nell'attuale sbocco al Tevere della Cloaca Massima, realizzato in conci radiali di pietra gabina (120-80 a. C).
L'ingegnere Pietro Narducci ebbe modo di esplorare verso la fine del secolo scorso molte reti fognanti per trattarne in particolar modo solamente nove.
1) Il chiavicone Schiavonia aveva il compito di portare al Tevere le acque raccolte nel Campo Marzio settentrionale.
2) La chiavica della Giuditta che tagliava via del Corso e vomitava i liquami presso Ponte Sisto.
3) La chiavica dell'Olmo che tagliava il Ghetto e aveva lo sbocco presso Ponte Fabricio.
4) L'acqua Mariana, la cui chiave di volta, in conci di tufo, si conserva tuttora incastonata nel muraglione del Tevere.
5) La Cloaca Circi, il cui monumentale sbocco era ancora visibile almeno fino agli ultimi anni del secolo scorso.
6) La Cloaca di Ripa Marmorata.
7) Il Fognone di Borgo, probabilmente della prima età imperiale.
8) La Cloaca della Naumachia Augusti.
9) La Cloaca Massima, l'unica che si conserva per intero nonostante le modifiche e le ristrutturazioni di ogni epoca.
Funziona ancora mirabilmente e costantemente vomita nel Tevere tutti i liquami che ad essa giungono dalle numerose fogne laterali, ufficiali o clandestine che siano. Proprio questa è la nota dolente: la quantità degli scarichi dei pozzi neri è notevole e, nonostante il divieto, ogni tanto ne nascono di nuovi rendendo l'ambiente assolutamente invisitabile. Solo dopo aver distrutto le fogne moderne, aver pulito i collettori e soprattutto dopo aver eliminato l'enorme quantità di famiglie di topi, solo allora si potrà seriamente pensare a far entrare il pubblico nell'ambiente ipogeo.
Di ingressi ce ne sono tanti ma il «più comodo» è costituito da una grossa porta metallica posta sotto la Basilica Giulia, esattamente di fronte alle tre colonne del Tempio dei Dioscuri, nel Foro Romano. Superato un primo ostacolo determinato da un grosso fascio di cavi elettrici, si raggiunge un marciapiede in cemento; a questo punto già si comincia ad avvertire l'assordante rumore dell'acqua ed il penetrante odore di fogna, caratteristiche che accompagnano il visitatore per tutto il percorso.
Iniziando la visita in direzione Sud si nota che il livello dell'acqua tende ad alzarsi e là dove il condotto si abbassa notevolmente, questa può raggiungere il torace. E possibile toccare la volta in opera cementizia, opera che si ritrova sulle pareti mentre il movimento delle acque lascia intravedere ad una certa altezza un'opera poligonale di tufo.
Più avanti ci si trova improvvisamente di fronte ad un angolo retto; la presenza di questo strano percorso, che va contro ogni legge idraulica, è determinata dalla esistenza superiore di grossi manufatti edilizi dei quali occorreva in qualche modo non toccare le fondazioni. In questo punto l'aria è rarefatta e più si scende verso il Velabro più diventa irrespirabile. Nella zona dell'Arco di Giano la visita si interrompe bruscamente: il livello dell'acqua si alza notevolmente e per proseguire occorre un canotto.
Tornati in prossimità della botola di entrata e proseguendo verso Nord, si nota con piacere che il marciapiede in cemento prosegue e agevola la visita per tutta l'area del Foro Romano per interrompersi presso i Fori Imperiali, là dove la cloaca è particolarmente affascinante e monumentale. Qui si conservano perfette le tracce del più antico tipo di conduttura a canale senza copertura a volta. E interessante notare, almeno lungo questo tratto rettilineo, le varie fasi costruttive che vanno dalle volte con struttura a sacco e mattoni e i laterali in blocchi di pietra gabina ad una sezione completamente in conci di tufo.


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